domenica 23 marzo 2008

Sui sentimenti (sull'amore)

I sentimenti ci danno l'illusione di annullare il tempo. Ognuno di noi teme la spada di Damocle che pende sul nostro capo, sotenuta da quell'esile filo che è il tempo. Sfilacciandosi deteriora anche il nostro corpo, corrompe la nostra mente, compromette i rapporti che abbiamo costruito. Il carattere di infinità che attribuiamo all'amore, in ogni sua forma, supplisce alla tendenza nichilistica del tempo. Lo temiamo troppo, ne temiamo i caratteri e le conseguenze. Aggrapparsi all'amore è un modo per ignorarlo, per celare ai nostri occhi sognanti l'infima sorte verso la quale tutti trasciniamo mestamente le nostre spoglie ancora pulsanti.

domenica 2 marzo 2008

Sulla malinconia

Kierkegaard sosteneva che la malinconia sorge perchè l'uomo giunge ad un punto della sua vita in cui la mente chiede di elevarsi a una forma superiore; la personalità vuole prendere coscienza di se stessa nella sua validità eterna. Se questo non succede appare la malinconia. Si tratta di fare i conti con i propri limiti. Il mondo scintillante nella sua ipocrisia ci assicura che possono essere superati. Ma se questo limite risiedesse proprio nella volontà (di superarli)? Forse è questo il limite più difficilmente valicabile. Non riuscire a volere, desiderare con tutto se stessi. Non si può superare questo limite, a meno che non si possa desiderare di volere.

sabato 1 dicembre 2007

The dawn will break the silence, screaming at our hearts

My black backpack's stuffed with broken dreams...

Mi chiedo quando l'alba romperà il silenzio, urlando al mio cuore. Tutte le presenze evanescenti che mi circondano si dissolvono in quel veleno mortale da cui dipendo; le vedo sorridermi, sfiorarmi, per poi avvolgermi nel più gelido degli abbracci. Imprigionato in quella stretta fatale ripercorro fotogrammi, pagine voltate dal vento ed ingiallite dal tempo, ricordi ancora stillanti delle lacrime versate, storie mai vissute e sempre sognate.

Qual è il senso di tutto questo? Vivere per poi constatare che quei momenti non potranno mai tornare, rifiutarsi di viverli ma poi lasciarsi straziare dal rimpianto per non averli colti.

Veronika spinse la porta della sala di soggiorno, si avvicinò al pianoforte, aprì il coperchio, e con ogni sua forza, affondò le mani sulla tastiera. Si sprigionò un accordo folle, sconnesso, irritante, che echeggiò nell'ambiente vuoto, rimbalzò sulle pareti e ritornò alle sue orecchie sotto forma di un rumore acuto, che sembrava graffiarle l'anima. Ma, in quel momento, era proprio quello il miglior ritratto del suo intimo. Tornò ad affondare violentemente le mani sulla tastiera, e ancora le note dissonanti riverberarono dovunque. "Sono matta. Lo posso fare. Posso odiare, e posso picchiare con violenza sulla tastiera del pianoforte. Da quando i malati di mente sanno mettere le note in ordine?". Battè sui tasti una, due, dieci, venti volte: e ogni volta il suo odio sembrò scemare, finchè scomparve del tutto. Allora Veronika fu nuovamente pervasa da un senso di pace profonda. Tornò a guardare il cielo stellato, con lo spicchio di luna crescente - la sua preferita - che inondava di luce soave il luogo in cui si trovava. Fu allora che ricomparve la sensazione che l'Infinito e l'Eternità procedessero tenendosi per mano e che bastasse contemplare uno di essi - magari l'Universo senza limiti - per notare la presenza dell'altro: il tempo che non finisce mai, che non passa, che permane nel presente, dove sono custoditi i segreti della vita. Tra l'infermeria e la sala di soggiorno, lei era stata capace di odiare, in un modo talmente forte e intenso che adesso nel cuore non le era rimasto più nemmeno un briciolo di rancore. Aveva lasciato che tutti i sentimenti negativi, rinchiusi lì per anni, finalmente affiorassero. Ora che li aveva provati non erano più necessari: potevano scomparire. Rimase lì in silenzio, vivendo il suo presente, accettando che l'amore occupasse lo spazio lasciato dall'odio. Quando sentì che era giunto il momento, si volse alla luna e attaccò una sonata, in suo omaggio, sapendo che lei l'ascoltava e che ne era orgogliosa: e questo rendeva gelose le stelle. Allora suonò un brano anche per le stelle, poi un'altra musica per il giardino, e una terza per le montagne che di notte non poteva vedere, ma che sapeva sullo sfondo.
(Veronika Decide di Morire, P. Coelho)

domenica 25 novembre 2007

There's too much that time cannot erase

You hold the answer deep within your own mind, consciously you've forgotten it, that's the way the human mind works. Whenever something is too unpleasant, too shameful for us to entertain we reject it, we erase it from our memory, but the answer is always there.

Spesso ci sforziamo di credere che il tempo sia quella panacea miracolosa contro ogni ricordo, quell'alito di vento in grado di soffocare ogni fiaccola ancora accesa, ogni fiamma ancora in grado di scaldarci e timidamente illumminarci. In realtà le ceneri fumanti di ogni fuoco che ci ha bruciato continuano ad ardere incessantemente.

In questa notte fredda la pioggia disegna infiniti percorsi sul vetro attraverso cui osservo il mondo nella sua immobilità. Mi sento in sintonia con quell'universo impassibile, con quell'albero che ha perduto le sue foglie ma non ha intenzione di coprirsi nonostante il gelido soffio dell'inverno che preannuncia il suo arrivo. Mi sfiora l'idea di correre lì fuori ad urlare alla pioggia il mio commiato, ma non intendo violentare quel ritratto così imperturbabile nella sua perfezione.

La perfezione. E' incredibile come, per quanto la rincorriamo, possiamo esserne solo spettatori. Semplici testimoni di una bellezza che non troveremo mai dentro di noi.

sabato 22 settembre 2007

I want to go back to believing in everything

I still remember the world from the eyes of a child, slowly those feelings were clouded by what I know now...

Cammino tra statue di marmo dai profili mutilati, accarezzate dalle foglie autunnali sospinte dal vento che si adagiano sulla terra fredda. Osservo lo sguardo androgino e imperturbabile di un angelo divenuto testimone del nulla, del silenzio, dell'oblìo.

La dimenticanza, il destino che spetta a quella foglia autunnale che termina il suo corso, può coinvolgere anche una foglia stillante di linfa? Può essa desiderare un prematuro contatto con la gelida terra? In fondo non chiedo molto: mi accontento di marcire e di continuare ad essere calpestato per tornare ad una arcaica perfetta armonia con la terra che mi ha generato. L'arrivo dell'inverno ricoprirà ogni amore decomposto con il suo soffio glaciale, ogni fragile illusione verrà cristallizzata per poi frantumarsi lentamente.

Ciò che continua a rimandare la mia decisione è proprio un pugno di illusioni. La mia leopardiana consapevolezza del rapporto inversamente proporzionale tra la conoscenza e le illusioni ha certamente intaccato la mia speranza di realizzare un'utopistica felicità. Ricordo ancora il sole sempre caldo sulla mia schiena.

La mia scelta finale ha privilegiato la vostra felicità, o meglio, ho dato una spinta a quel dondolo che continuerà a cullarvi con le vostre fragili illusioni. E' solo questo il modo per "star bene", come tutti dite, come tutti ostinatamente desiderate. Per quanto riguarda me, ho ormai raggiunto un cinismo che non mi è mai appartenuto, ma che mi sta spingendo ad una solitaria e sempre più consapevole discesa nel baratro. Questa volta non udirete l'eco della mia richiesta d'aiuto perchè non voglio più che un minimo tepore mi riscaldi, voglio soltanto raggiungere più a fondo possibile la mia esperienza intima e conoscitiva. For my final time.

lunedì 10 settembre 2007

Hello, I'm your mind giving you someone to talk to

Hello, I'm the lie living for you so you can hide, don't cry...

Eccomi di nuovo in compagnia del mio assordante silenzio. Il vento lancia urla tormentate a cui vorrei aggregarmi, ma non un soffio riesce a liberarsi. Questo silenzio fragoroso con furia mi percuote e mi spoglia di ogni slancio vitale. Sono stanco di assumere la mia dose quotidiana di veleno mortale, non sono più disposto ad assistere alla vita, odio profondamente chi vive perchè io non ne sono in grado. Forse non ho mai saputo farlo, forse nessuno me l'ha mai insegnato. Forse sono così intimorito di scoprire cosa significhi vivere, di svelare l'essenza della felicità, che continuo a proibirmela. Perchè, infondo, l'uomo ha da sempre paura di ciò che non conosce. Sono fatalmente attratto da ogni forma di dolore perchè da sempre è il mio rifugio, è il luogo dell'anima in cui sentirsi al sicuro perchè soli, perchè veri. Se ho costruito qualcosa tra le macerie che popolano il mio cammino, lo devo solo a me stesso, perchè nei momenti di sconforto ho parlato con me stesso, nelle difficoltà ho interrogato me stesso, perchè quando le lacrime solcavano il volto, la mia mano ha accarezzato il viso. La mia probabilmente innata predisposizione per la verità, per la coerenza, per la tolleranza non mi ha restituito che esclusione e negazione. Ringrazio i miei genitori perchè materialmente hanno sopperito ad ogni eventuale mancanza, anche se non recherò mai loro il dolore di informarli che affettivamente, emotivamente, anzi empaticamente, il loro fallimento è stato totale. Il muro invalicabile che ho innalzato tra me e gli altri non è mai stato completamente superato, perchè mai realmente da una parte o dall'altra qualcuno ha tentato la scalata. Ecco perchè la compagnia che preferisco è la mia, ecco perchè mi sento più solo tra la gente che con me stesso. Osservando però le esistenze realizzate di chi mi circonda, ammetto con disappunto che l'ipocrisia dei rapporti, dei sentimenti è un buon viatico per la realizzazione di una pur fragile felicità. Tuttavia, continuo a preferire la mia solitudine d'acciaio ad una felicità di cristallo.


Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio
Sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni,
E versa, abbracciando l'intero giro dell'orizzonte,
Una luce diurna più triste della notte;

Quando la terra è trasformata in umida prigione,
Dove, come un pipistrello, la Speranza
Sbatte contro i muri con la sua timida ala
Picchiando la testa sui soffitti marcescenti;

Quando la pioggia, distendendo le sue immense strisce,
Imita le sbarre d' un grande carcere,
E un popolo muto d'infami ragni
Tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli,

Improvvisamente delle campane sbattono con furia
E lanciano verso il cielo un urlo orrendo,
Simili a spiriti vaganti, senza patria
Che si mettono a gemere ostinati.

E lunghi trasporti funebri, senza tamburi né bande,
Sfilano lentamente nella mia anima, vinta; la Speranza,
Piange, e l'atroce Angoscia, dispotica,
Pianta sul mio cranio chinato, il suo nero vessillo.

C. Baudelaire, Spleen

domenica 2 settembre 2007

How can you be so blind?

Everyone leaves me stranded, forgotten, abandoned, left behind...

Posso sentire il mio fardello appesantirsi, barcollando cerco affannatamente il mio posto tra le ceneri. Volgo lo sguardo al cielo, seguendo i milioni di volteggi intrecciarsi e terminare lentamente il loro corso sul mio capo chinato. L'unico contatto con la vita concessomi è dato dal prodotto della sua combustione. Le fiamme delle vite reali hanno inghiottito ogni cosa, so di essere vivo solo grazie alle ceneri che mi sommergono. Per questo amo la pioggia: voglio che essa cada senza fine su quelle fiamme spegnendole, annientandole, uccidendole. Solo quelle gocce sazieranno il mio odio, solo le lacrime del cielo sublimeranno la mia solitudine.